Alberto Burri e le tracce di un genio dell’arte moderna

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Alberto Burri particolare “Sacco”, 1953

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“Minsa” di Beatrice Brandini

Nel centenario della nascita molte saranno le iniziative dedicate ad Alberto Burri, il re dell’Informale. Un maestro schivo e introverso, che seppe mescolare i collage cubisti, le visioni futuriste con Piero della Francesca e Signorelli, creando magnifiche soluzioni compositive tra l’informale e l’astrazione.

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Alberto Burri “Rosso Plastica”, 1962

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Alberto Burri “Catrame”, 1949

Alberto Burri nasce a Città di Castello nel 1915. Nel corso della seconda guerra mondiale, appena laureato in medicina, fu chiamato alle armi in qualità di ufficiale medico. Fatto prigioniero dagli inglesi, nel 1943, fu consegnato agli americani che lo inviarono nel campo di concentramento di Hereford in Texas fino al 1946. Qui iniziò a dipingere.

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Alberto Burri “Combustione”, 1955

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Alberto Burri “Combustione legno”, 1956

L’America rende omaggio a questo grandissimo artista con un’antologica (il prossimo Ottobre) al Guggenheim Museum di New York. Ed è la seconda volta che lo fa, la prima fu nel 1953 alla Frumkin Gallery di Chicago, grazie soprattutto ad una monografia di Johnson Sweeney del MoMa, al mecenate David Thompson e ad “Art News” che lo definì “il migliore pittore italiano che si era visto a New York dopo la guerra”.

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Alberto Burri “5P”, 1953

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Alberto Burri “Sacco IV”, 1954

Agli inizi degli anni ’50 Rauschenberg vide a Roma i lavori di Burri, le tele di bitume, i sacchi e cuciture.., ne restò così impressionato da carpirne i segreti tanto da tornare in America e iniziare i suoi “combine paintings”; ora la grande mostra del Guggenheim restituirà la paternità di quella ricerca. Mettendo forse ancora una volta l’accento su un paese, l’Italia, che non sempre riconosce i suoi più grandi talenti. Perché se è vero che Burri è stato un ispirazione (forse qualcosa di più) per altri artisti diventati poi stars, è vero anche che la critica di quegli anni gridò allo scandalo vedendo le sue opere, dimostrando superficialità e provincialità. In America, Germania e Francia in quegli anni era già molto affermato, in Italia bisogna attendere il 1963 quando la critica gli dedicò la prima biografia.

Ma non solo, il pubblico continuò a restare molto diviso, il fondo fu toccato nel 1972 quando in un importante mostra torinese una donna chiamò l’ufficio d’igiene per disinfettare i suoi quadri, ritenuti puzzolenti e pieni di microbi.. Nel 1989 l’allora ministro dell’ecologia del comune di Milano decise di rimuovere un teatrino di quinte girevoli, opera  del 1973 e dono dell’artista alla città. Da questo triste episodio Burri non mise mai più piede a Milano, decidendo di donare quel teatrino alla città di Atene. Ora forse verrà ripristinato, ma intanto l’artista è morto e mi viene da dire “che vergogna”.

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Alberto Burri “Sestante N.3”, 1982

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Alberto Burri cretto “Il viaggio”, 1979

Leggendo questi aneddoti mi chiedo come si può essere tanto ignoranti? La bellezza dell’arte è quella di suscitare emozioni, far ragionare, creare un dibattito, generare soggettivi punti di vista; la critica senza ragionamento, senza conoscere, sapere e soprattutto senza capire, è sterile e inutile. Burri, come molti altri giganti, aveva una sua visione, ha creato qualcosa di nuovo e diverso. Solo chi ignora non è capace di “leggerlo”.

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Alberto Burri “Cellotex”, 1979

Burri viveva in Umbria, un po’ isolato e solitario. Amante della natura, della tavola e del buon vino, in realtà era legato moltissimo agli amici d’infanzia che andavano a trovarlo frequentemente e con i quali condivideva le sue passioni. Allergico al protocollo degli incontri ufficiali e della mondanità che ne consegue diceva: “non vado nei posti dove si conoscono tutti e parlano tutti delle stesse cose. La pittura è per me una libertà raggiunta, costantemente consolidata e difesa.” 

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Alberto Burri “sestante N.9”, 1982

Burri affermava di avere le radici piantate nell’aria, registrava i particolari che lo colpivano in un esercizio che sembrava continuo e “sicuro” e che invece era caratterizzato dal tempo, che rende la vita imprevista e mutevole e per questo sempre diverso. La ricerca di libertà si spingeva fino al punto di non voler vendere le sue opere “Dipingerei anche se non dovessi ricavarne un soldo. E infatti non vendo. Perché vendere, per avere più soldi..? No, i quadri li regalo. Come quando, tornando a Roma dopo la guerra, preferì trascorrere un periodo difficile, rifiutando la “certezza” di una vita da medico, dedicandosi alla sua passione, ovvero   l’arte. I famosi sacchi di Burri erano in realtà i contenitori di iuta dove venivano imballati gli aiuti che l’Italia riceveva da organizzazioni delle Nazioni Unite. Una volta utilizzato il loro contenuto e quindi svuotati, venivano abbandonati. Per Burri furono il suo elemento compositivo.

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“Estetica” Burri nelle collezioni S/S 2015

Generoso e puro, donò l’importo del premio Feltrinelli, dell Accademia dei Lincei, al restauro  della chiesa di San Crescentino, fra Cortona e Città di Castello, con gli affreschi di Luca Signorelli.

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“Estetica” Burri di Beatrice Brandini

Ti immagino con la tua sahariana davanti ad un buon bicchiere di vino, con Vedova o Fontana, chissà quali discussioni, quali conversazioni piacevoli e stimolanti… Forse vedendo il mondo come sta andando non rimpiangerete più di tanto la vostra dipartita!

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Alberto Burri, foto di Mimmo Jodice

“Mi fa ridere chi dice che l’artista soffre. L’ artista è felice.” Alberto Burri

Buona vita a tutti!

Beatrice

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