Guy Bourdin: il grande surrealista della fotografia

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Foto Guy Bourdin, Vogue Paris 1958

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“Annette” di Beatrice Brandini

Quando studiavo moda ero affascinata, ma potrei dire quasi incantata, dalle foto di Guy Bourdin. Non erano “solo” fotografie di moda, ma fotogrammi rubati ad un film, racconti surrealisti, visioni incantate.

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Foto Guy Bourdin, pubblicità Charles Jourdan, 1979

Considerato uno dei fotografi più famosi e influenti nella storia della fotografia di moda, Bourdin ha lavorato moltissimi anni per Vogue France. Le foto di Bourdin sono audaci, provocatorie, visionarie, irrazionali, mai noiose, mai scontate.

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Foto Guy Bourdin, campagna pubblicitaria Charles Jourdan 1977

Guy Bourdin è stato allievo di Man Ray, ha ammirato  Edward Weston ma anche Magritte e Balthus, creando però uno stile unico e inconfondibile, dal quale molti grandi fotografi dopo di lui, hanno largamente attinto. Perché Bourdin è stato moderno (per la sua epoca rivoluzionario) e riesce ad esserlo anche oggi. Se sfogli una rivista degli anni Settanta/Ottanta, a parte geni come Avedon o Newton, le immagini ti appaiono quasi sempre come la testimonianza di un epoca passata, fotogrammi di un momento storico, anche quando si tratta di foto di moda (anzi forse talvolta di più, essendo la moda l’interpretazione perfetta del costume e della società), invece le foto di Bourdin, nonostante immagini di modelle con abiti/trucco/ambientazioni datate, potrebbero essere ristampate adesso e “adattarsi”, quasi confondersi, con il gusto attuale.

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Guy Bourdin, Pentax Calendar 1980

Infatti è molto facile oggi trovare elementi narrativi sul set fotografico, vedere grandi fotografi che “raccontano” una storia (penso soprattutto a David LaChapelle o a Steven Meisel), ma all’epoca di Guy Bourdin, negli anni Settanta, non era esattamente così. Questo fotografo  determinò un vero cambiamento nelle foto di moda; colori forti, primari, le modelle non erano più al centro della scena o creature incantevoli e inarrivabili, ma vennero “strapazzate”, a volte addirittura tolte dall’inquadratura principale; il mondo elitario e irraggiungibile della moda di quegli anni, lasciò il posto ad inquadrature provocatorie, grottesche e sensuali (ma anche quando molto esplicite, mai volgari); sembrerà un controsenso ma in poche parole lo trasformarono in un mondo più “vero” anche se  irreale.

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Foto Guy Bourdin

Serge Lutens, amico e in passato suo aiuto creativo, definì il suo lavoro così: “Ciò che Guy ha creato è stato condurre la propria psicoanalisi in Vogue”.

Un editore della rivista Vogue presentò Bourdin allo stilista di calzature Charles Jourdan, che diventò  per lui una sorta di pigmalione, infatti tutte le campagne pubblicitarie del marchio, dal 1967 al 1981,  furono realizzate da Bourdin.

Bourdin fu il primo fotografo a creare una narrativa diversa, complessa, caratterizzata da elementi sensuali e provocatori, talvolta scioccanti o inquinanti.

La sua prima foto mostra una modella con un abito haute couture in cui in basso sono sistemate innumerevoli teste di mucche macellate. Con questo scatto Bourdin iniziò la rivoluzione nel campo della fotografia di moda.

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Foto Guy Bourdin, Vogue Paris 1979

Personalità piuttosto complessa, le relazioni con le donne furono abbastanza complicate lungo tutta la sua esistenza. Sicuramente determinante fu l’abbandono da parte della madre quando Bourdin aveva solo un anno. Si dice che la madre, incontrata poi una sola volta, fosse una donna pallida dai capelli rossi, non è difficile crederlo se si osservano le sue modelle. Forse, come scrisse il New York Times Magazine, il tema dell’abbandono fu esperienza personale che si trasformò, quasi ossessivamente, in ricerca professionale; il tentativo di esorcizzare un dolore tanto grande che sentì sempre più forte e che con gli anni, diventò “rabbia”.

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Foto Guy Bourdin

Purtroppo come per molti grandi artisti, anche la vita di Guy Bourdin non fu  caratterizzata da gioia e serenità, se si escludono i grandissimi successi e riconoscimenti professionali; soprattutto verso la fine della sua carriera, sul finire degli anni Ottanta,  quando malato e solo fu quasi dimenticato. Ma Bourdin, che era un uomo schivo e orgoglioso, non fece niente per farsi aiutare, né cercò di sfruttare le sue immagini (respinse idee di libri e di mostre), rifiutandosi di venderle o di pubblicarle. Clamoroso fu il rifiuto del Premio Nazionale di fotografia (Grand Prix National de la Photographie) che la Francia gli conferì nel 1985.

Avrebbe desiderato che dopo la morte tutte le sue opere fossero distrutte, fortunatamente la maggior parte è stata salvata poiché lui non possedeva niente (per sua volontà); i suoi lavori si trovavano infatti nelle redazioni giornalistiche, o nelle mani di clienti a cui aveva realizzato campagne pubblicitarie.

Il video musicale di Madonna Hollywood (2003) è un omaggio alla fotografia di Bourdin. Fotografi contemporanei come Mert Alas e Marcus Piggott, Jean Baptiste Mondino, David LaChapelle e altri dichiarato di essere grandi ammiratori del suo lavoro.

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Foto Guy Bourdin

Chi segue il mio blog ha scoperto che dietro a storie meravigliose, dietro ad incredibili creativi, talvolta si nascondono drammi. Ma la cosa che reputo più triste ed ingiusta, è come si possa dimenticare chi con il suo lavoro ha contribuito a cambiare l’estetica, e non ha molta importanza se si stia parlando di arte, di fotografia, di moda, di spettacolo.  Chi con il suo operato ha modificato il gusto, influenzando le nostre scelte passate, attuali e future, non dovrebbe conoscere l’oblio. Guy Bourdin è stato autore di un cambiamento rivoluzionario nella comunicazione per immagini. Le forme cambiano, i gusti si evolvono, ma la bellezza, la creatività, e soprattutto le idee, sono un patrimonio che non scompare mai.

    

Mood Bourdin di Beatrice Brandini

    

Mood Bourdin di Beatrice Brandini

Buona vita a tutti!

Beatrice

Un commento su “Guy Bourdin: il grande surrealista della fotografia

  1. Per me Guy Bourdin è stato uno dei più grandi fotografi, se non il più grande. Ci sono poche immagini e poche notizie in rete, sono felice e grato che lei ne abbia parlato. Giuseppe Rinaldi

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