Marina Abramović: l’arte e la vita, la vita e l’arte di ognuno di noi

“Portrait with golden mask”. 2009 

 Marinadi Beatrice Brandini

Si è conclusa da pochi giorni la prima grande retrospettiva italiana dedicata a Marina Abramović, una delle personalità più celebri, iconiche e controverse dell’arte contemporanea.

Marina Abramović THE CLEANER

La mostra dal titolo “The Cleaner” è una riflessione dell’artista sulla propria vita, secondo cui, come in una casa, si tiene solo quello che serve e si fa pulizia del passato, della memoria e del destino. Una sorta di testamento, un’occasione per ripercorrere quarant’anni di attività, in cui Marina Abramović si è concessa emotivamente e totalmente, regalandoci forti emozioni. Mostra organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi e curata da Arturo Galansino.

   

Il furgoncino Citroên nel cortile di Palazzo Strozzi. Questo mezzo di trasporto e di vita, fu usato da Marina e il suo compagno Ulay (artista e fotografo tedesco), per girare l’Europa.

“The Kitchen”. 2009

“Stromboli III”. 2002

   

The Artist is Present” è diventata un classico delle Performance Art. Durante i tre mesi dell’esposizione al MoMA di New York, nel 2010, Marina Abramović ha fissato negli occhi ogni spettatore che decideva di sedersi di fronte a lei. “La performance più radicale della mia vita”, durante la quale è rimasta seduta per sette ore al giorno, senza bere, mangiare o andare alla toilette. “A fissare dentro gli occhi pieni di dolore dei visitatori”.

Marina Abramović ha rivoluzionato l’idea di performance mettendo alla prova il proprio corpo, i suoi limiti e le sue potenzialità espressive.

Era la prima volta che Palazzo Strozzi dedicava una mostra ad una donna, confermando la sua contemporaneità e velleità rivoluzionaria, se si considera che la città, Firenze, fa fatica a scrollarsi l’identità rinascimentale che la caratterizza da sempre.

L’esposizione italiana racconta la lunga carriera di questa indomita artista, non è casuale che sia stata scelta l’Italia, un paese che ha un significato importante nelle sua biografia privata e artistica.

Ulay e Marina Abramović “REST ENERGY”. 1980. Progetto in cui i due artisti affermavano di essere stati trasformati in un unico organismo. Le performance erano indimenticabili e ipnotiche, al limite della sopportazione fisica e psicologica. In questa in particolare la Abramović teneva un grosso arco la cui corda, completa di freccia, era tenuta da Ulay. Se avesse mollato la presa la freccia avrebbe trafitto il cuore di Marina. “La performance durava quattro minuti e venti secondi, che sembravano un’eternità. La tensione era insopportabile”.

   

THE ONION” 1995. L’artista mangia voracemente una cipolla cruda piangendo,  “guardando verso l’alto come una Madonna sofferente”.

“Count on Us”. 2004 Con uno scheletro appeso davanti e dietro ad un abito scuro, Marina dirige un coro di ottantasei bambini vestiti di nero come per partecipare ad un funerale, che cantano l’inno all’ONU. Un modo sarcastico per denunciare il poco impegno umanitario dell’ONU durante la guerra in Kosovo.

La scoperta delle performance la inducono ad abbandonare tutte le altre forme espressive, iniziando a lavorare solo con il suo corpo, esponendosi al pericolo e al dolore. “Ho la libertà, in quanto artista, di fare ciò che voglio. Ho la libertà di fare arte con la polvere se voglio…. La piccola povera Marina è scomparsa lasciando spazio alla nuova Marina, quella che può fare tutto senza limiti e confini”.

Il dolore come elevazione di se stessa, facendoci capire che quello più grande non è fisico ma spirituale. 

RHYTHM 5. 1974. L’artista distesa al centro di una stella a cinque punte, posizionata nel mezzo di una stanza che venne poi data alle fiamme. La stanza divenne una prigione di fuoco, la Abramović perse i sensi e fu salvata da quella trappola mortale.

RHYTHM 0 . 1974

“IMPONDERABILIA” 1977. Una delle performance più note di Marina e il compagno Ulay, in cui rimasero immobili e nudi all’ingresso della Galleria d’Arte Moderna di Bologna come se fossero loro gli stipiti della porta. Per entrare dalla strettissima porta, inevitabilmente il pubblico si sarebbe girato da una parte o dall’altra dei due performer (n.r.: l‘arrivo della Polizia interruppe la performance solo pochi minuti dopo).

   

   

“ART MUST BE BEAUTIFUL” 1975. Una figura femminile che si pettina è nell’arte un soggetto iconografico ricorrente. Ma Marina lo trasforma in una sorta di autopunizione molto violenta, spazzolando i capelli fino a sanguinare. “La Jugoslavia mi aveva stufato con il presupposto estetico che l’arte deve essere bella . Con Art must be Beautiful volevo distruggere quell’idea di bellezza. Infatti mi ero convinta che l’arte dovesse essere disturbante , dovesse porre domande, predire il futuro…”

“CONFESSION” 2010

Dagli anni Settanta Marina Abramović ha raccontato, attraverso il suo corpo, la rabbia, il dolore, la sessualità, il dramma politico e sociale. Le sue performance sono “popolari” perché lo spettatore si riconosce nelle sue paure e nei suoi tormenti. Ma lo sono perché sempre molto sincere. La Abramović è un’artista vera e spontanea che non ha avuto paura di sperimentare la sofferenza sul proprio corpo, questo mezzo di comunicazione è diventato il suo linguaggio, lo stesso che la lega al suo pubblico. 

   

   

Alcune dichiarazioni di Marina Abramović

Marina Abramović è molto amata, venerata, seguita da una folla di estimatori in tutto il mondo. Quando hanno messo in vendita i biglietti per la conferenza stampa, alla quale avrebbe partecipato anche lei, i 1770 posti disponibili sono andati esauriti in poche ore. La sua biografia è stata tradotta in 21 lingue; all’età di 71 anni riesce ad essere ancora molto popolare , attirando perfino l’attenzione dei giovanissimi (ho portato mio figlio alla mostra ed è rimasto entusiasta!).

Marina in fashion di Beatrice Brandini

Marina in fashion di Beatrice Brandini

Marina in fashion di Beatrice Brandini

Belgrado, Amsterdam e New York, tre città fondamentali per il percorso artistico e di vita della Abramović. La prima è la sua patria e dove ha mosso i primi passi nel mondo dell’arte.  Amsterdam la città in cui incontrò l’artista tedesco Ulay, grande amore della sua vita e fondamentale ispirazione e partner nella sua attività creativa. New York città che l’ha adottata, dove risiede tutt’ora, e che l’ha consacrata. L’ ultima performance di Marina  Abromović sarà probabilmente GrandMother Of Performance, un’opera che vedrà la luce solo il giorno del suo funerale. Tre bare saranno spedite nelle tre città citate, solo una conterrà il suo corpo, ma nessuno saprà quale. L’ultimo saluto, un cup di theatre fra dissacrazione, ironia, auto celebrazione, un’artista inafferrabile nonostante si sia spinta sempre al limite e messa a nudo per tutta la vita.

Buona vita a tutti!

Beatrice

 

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